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CUBA - I Giardini della Regina (aprile 2005)


Entrare in acqua con il passo da gigante, prestando attenzione a non travolgere uno dei tanti squali seta che nuotano pochi centimetri sotto la superficie, non è un’esperienza che si dimentica facilmente. Per provarla è necessario armarsi di pazienza ed affrontare un viaggio di circa 24 ore che dall’aeroporto di Milano Malpensa ci porterà via aria, terra e mare ai Giardini della Regina (Cuba) dove ha sede l’Avalon Diving Center. Dopo ore trascorse tra aereo e controlli doganali al limite del maniacale (mi chiedono di aprire il tubetto del dentifricio e ci guardano dentro!), il viaggio sulla terra ferma si conclude a Jucaro, dove ci imbarchiamo sull’Explorador che ci porterà a destinazione. Approfittiamo delle quattro ore di navigazione per far visita a Morfeo che ben presto accoglie tutti noi tra le proprie braccia. Al risveglio, ci ritroviamo proiettati a 50 miglia dalla costa sud di Cuba, in una delle tante insenature che fanno parte dell’arcipelago dei Giardini della Regina, dove è ormeggiato il Tortuga. Vero e proprio albergo galleggiante ricavato da una piattaforma - essenziale ma allo stesso tempo dotato di tutti i comfort - il Tortuga dispone di camere dotate di bagno privato con doccia ed aria condizionata. Un piccolo bar a poppa serve cocktails a base di rhum cubano (che anche liscio rinfranca nel corpo e nello spirito), mentre la cucina propone pesce freschissimo, enormi aragoste appena pescate cucinate secondo la tradizione cubana, e teglie di pizza, particolarmente gradite al termine delle due o tre immersioni giornaliere. Ad attenderci sul Tortuga i volti sorridenti di Jualberto, Noel ed Elvis, le esperte guide che ci accompagneranno nei prossimi giorni. Un sonnellino, e via con la prima immersione di check che ci riserva non poche sorprese: enormi barracuda (uno dei quali particolarmente attratto dal colore delle mie pinne mi seguirà nel corso di tutta l’immersione probabilmente chiedendosi se sia il caso di assaggiarle o meno), cernie giganti, tartarughe e banchi di pesci anch’essi di dimensioni ragguardevoli. Il mattino successivo, al nostro risveglio, sappiamo cosa ci attende e siamo a dir poco elettrizzati: Coral Negro 1 è una di quelle immersioni che non si scordano più. La barca, comoda e ben attrezzata per il trasporto di una quindicina di subacquei, ormeggia ad una delle numerose boe che segnalano gli oltre ottanta punti di immersione disponibili, ed il divertimento ha inizio. Il mare è una tavola e sappiamo che oggi dovremmo incontrare gli squali, ma nessuno di noi è preparato a quello che sta per vedere. All’improvviso, un urlo da poppa richiama la nostra attenzione: “tiburones”! Nella fretta di spostarmi verso poppa rischio di incrinarmi due costole e quando mi affaccio fuoribordo rimango senza fiato. Il mare è cristallino, il cielo è terso e la visibilità ottima. Sotto la superficie intravedo macchie scure nuotare in circolo: alcune, marroncino e di medie dimensioni, si mantengono vicine al pelo dell’acqua, mentre altre più grandi, verdi azzurre, nuotano più in profondità. Sono decine e sono ovunque. Le “macchie” sono squali, decine di squali, che si avvicinano alla barca sapendo che da lì a pochi minuti riceveranno la visita di noi subacquei e, poco più tardi, riceveranno tranci di barracuda come ringraziamento per averci permesso di condividere il mare con loro. Il primo ad entrare in acqua è un ragazzo californiano che ben presto viene circondato da decine di “Silky”, squali seta di dimensioni variabili tra il mezzo metro e i due metri e mezzo circa. Sono loro le “macchie marroncino” che avevo visto aggirarsi furtivamente intorno alla barca. In due minuti siamo in acqua, ma confesso senza vergogna di aver pensato, mentre mi preparavo, di essere in procinto di fare una cosa assolutamente senza senso. Saltare dalla barca in mezzo a tutte quelle pinne è un gesto poco naturale. La sensazione di disagio mi abbandona, e le prospettive cambiano, non appena metto la testa sott’acqua. Guardo tra le mie pinne verso il blu che si apre sotto di me: dieci-quindici metri più in basso vedo quattro silouette azzurro-verdastre muoversi in modo sinuoso. Sono gli squali grigi dei Caraibi che attendono il nostro arrivo sul fondo, mentre intorno a noi è un carosello di decine di Silky. La visibilità è incredibile, non c’è corrente e la temperatura dell’acqua è gradevolissima. Durante i quaranta minuti di immersione, ho il tempo di scattare un centinaio di foto, sentendomi eccitato come un paparazzo che sorprenda Naomi Cambell avvinghiata a Bruno Vespa. Gli squali grigi ci nuotano intorno, sopra, sotto e ci puntano frontalmente per poi cambiare direzione all’improvviso, regalandoci ogni volta un brivido nuovo ma non dandoci mai l’impressione di essere (gastronomicamente) interessati a noi. Il computer ci segnala che siamo a pochi minuti dalla deco, il che ci costringe a risalire di qualche metro lasciando il regno dei Caribbean reef shark per tornare in quello dei Silky. A dieci metri dalla superficie un Silky nuota nella mia direzione: con un guizzo percorre i 30 metri che lo separano da me, vira all’ultimo momento lanciandomi un’occhiata curiosa e mi lascia sbalordito dalla sua velocità. Una volta in superficie vedo che Noel afferra con due dita il lobo superiore della coda di un grosso Silky e che quest’ultimo si immobilizza, rilassandosi in posizione verticale. Noel mi suggerisce di provarci, ma l’impresa non è semplice... almeno riuscissi a prenderne uno! Mi passano vicino e non appena faccio la capovolta, danno un colpo di coda e spariscono nel blu. Finalmente riesco ad afferrare una femmina (so che non dovrei, ma non resisto) la quale, prima di immobilizzarsi, si agita un pochino (che strano, la sto solo tirando per la coda) allontanandomi dalla barca. Dopo aver verificato che la tecnica funziona veramente (e che potrebbe tornare utile per la marcatura dei Silky), la lascio andare. La barca è a una trentina di metri da me, in acqua ci siamo solo più io e Noel, e da bordo qualche simpaticone per tranquillizzarmi mi urla: “I Silky, li hai tutti lì!”. Compio il tragitto verso la barca in un lampo, nuotando all’indietro in modo tale da tenere d’occhio tutti gli “amici” che, seguendomi da molto vicino, colorano l’acqua intorno alle mie gambe di marroncino. Non avere la testa sott’acqua non mi riempie di gioia in questa situazione, ma ovviamente non succede nulla come le altre centinaia di volte in cui Silky, Grigi dei Caraibi e subacquei si sono incontrati in questa zona. Tra tutte le immersioni che faremo nei giorni a venire, questa rimane la più spettacolare insieme a Faraillon, un dedalo di canyon (abitati da cernie gigantesche) in cui il sole gioca a nascondino, generando meravigliosi giochi di luce. Quando lascio il Tortuga, prometto a me stesso che tornerò a far visita all’incredibile spettacolo della natura offerto da questo angolo di mondo fuori dal tempo, in cui si trovano I Giardini della Regina. Qualcuno vuole venire con me?
Scritto da: Fabrizio

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