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MESSICO - Il fascino dei cenotes (agosto 2003)


Dopo una settimana di tour archeologico in autopullman attraverso lo Yucatan dei Maya, ecco i te moschettieri tornare finalmente alla base, il (magnifico) Ventaclub Playa Maroma, a pochi chilometri da Playa del Carmen. 7 giorni prima, appena arrivati, ci eravamo precipitati al diving per depositare le nostre attrezzature e iscriverci preventivamente alle uscite che sarebbero state organizzate durante la settimana di soggiorno-mare. In testa alle nostre preferenze, non poteva mancare un’esperienza subacquea assolutamente nuova: le immersioni in “cenote”. La parola cenote deriva dal termine maya “D’zonol” che indica una cavità sotterranea che contiene acqua: i cenotes erano considerati dai Maya l’accesso a un mondo mitico e spirituale, ma da un punto di vista un po’ più materiale, erano anche l’unica fonte di acqua dolce nel mezzo della giungla!! A sud di Playa del Carmen ci sono diversi cenotes in cui è possibile immergersi: noi siamo stati in due di questi : a Chac-Mool, una quindicina di km di distanza, e a Dos Ojos - a una cinquantina di km - che deve il suo nome al fatto di avere due ingressi: visti dall’alto sono due pozze blu che si aprono nel verde della foresta. L’organizzazione è la stessa per le due uscite: si parte in pulmino al mattino alle 9, quattro sub, più la guida del diving, un ragazzo del posto molto bravo, le bombole, le ceste delle attrezzature e i cestini della merenda… Dopo aver lasciato la strada asfaltata ci si addentra nella foresta (o, come la chiamano loro, la selva) fino all’arrivo al punto di accesso ai cenotes; si scarica il pulmino, si prepara la prima bombola e la si porta sul bordo della pozza (in entrambi i luoghi scendendo per una scala scavata nella roccia) e poi si ritorna al pulmino per mettersi la muta (2 o 3 mm) e caricarsi sulle spalle la seconda bombola che servirà per la seconda immersione (oh YES! Due immersioni di fila ! e “di fila” vuol proprio dire “di fila” giusto il tempo di spostare jacket ed erogatori da una bombola all’altra….). Si entra in acqua (dolce, quindi con meno zavorra del solito) e dopo la raccomandazione a mantenere l’assetto per via del fondo sabbioso, Gunther (il nome è tedesco ma il ragazzo è il tipico messicano, pelle occhi e capelli scuri) ci ricorda di seguirlo sempre e di non infilarci MAI nei corridoi laterali perché è facile perdersi e non ritrovare più l’uscita, nonostante il percorso sia indicato dalle cime. Ci diamo l’OK di conferma e tutti giù. Ragazzi, che spettacolo ! immersione in grotta ma in acqua dolce quindi una visibilità eccezionale (beh, siamo anche stati bravi a non far alzare il sedimento…) sembrava di essere all’aperto, in alta montagna dove l’aria è pura e rarefatta. L’aspetto più emozionante dell’immersione non è tanto l’acqua dolce (anche se entrando nell’aloclino – dove l’acqua salata proveniente dal mare filtra tra le rocce – si ha la tentazione di sfregarsi gli occhi che sembrano appannarsi) quanto lo spettacolo di luci. Siamo in grotta è vero ma ci sono molte spaccature attraversate dai raggi del sole che giocano con le radici immerse delle piante tropicali si riflettono sulle pareti creando effetti luminosi simili a quelli delle vetrate delle cattedrali. Vita, zero: a parte le radici delle piante acquatiche qualche raro pesce d’acqua dolce e un coccodrillino di plastica con una Barbie di traverso tra le fauci. Chac-Mool, a circa metà del percorso ha una bolla d’aria nella quale siamo risaliti un attimo (per respirare l’aria viziata della grotta… quella della mia bombola era più buona….). A Dos Ojos una figura sconosciuta e dei lampi sospetti ci hanno seguiti per tutta l’immersione, che si svolge a circa 12-14 mt e dura circa mezz’ora; mentre spostavamo l’attrezzatura sull’altra bombola, un ragazzino indigeno si è avvicinato e ci ha detto che, se volevamo, prima di andare via dopo la seconda immersione, avremmo potuto vedere le foto che ci aveva fatto un suo socio (che passa le giornate a mollo a fotografare i sub…) ed eventualmente comprare il CD, che sarebbe stato consegnato direttamente al villaggio la sera stessa. Ovviamente non ci siamo persi l’opportunità di tornare a casa con un CD ricordo: dopo aver fatto la seconda immersione, smontato le attrezzature e risistemato tutto nel pulmino, abbiamo seguito il ragazzino in una casupola lì accanto dove il fotografo, con i piedi in una bacinella, scaricava la memory-card della macchina digitale su un magnifico portatile bianco e in pochi minuti masterizzava il CD, con le foto del gruppo, un clip e delle foto fatte precedentemente: in mezzo alla giungla, intendo, non comodamente seduto a una scrivania….
Scritto da: Roberta

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