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SUDAFRICA - Tra gli squali Toro di Durban (settembre 2004)


Era una bella giornata di fine agosto del 2004 e ricordo di essere uscito dall’agenzia viaggi stringendo in mano i biglietti aerei per il Sudafrica, a metà tra l’emozionato ed il preoccupato. Da lì a poche settimane mi sarei trovato a camminare a testa in giù nell’altro emisfero, in attesa di immergermi nelle acque di Durban, dove ogni incontro non solo è possibile, ma anche estremamente probabile. Il volo diretto Milano – Johannesburg lo passo dormendo, svegliato solo dalle risate soffocate del passeggero seduto a fianco a me che non riesce a resistere alle imprese di Garfield, il gatto protagonista del film omonimo. Il volo Johannesburg – Durban dura poche manciate di minuti, così come il trasferimento dall’aeroporto ad Umkomaas, dove ha sede l’African Watersports di Walter Bernardis, omone sudafricano di origini italiane, simpaticissimo oltre che grande esperto di squali tigre e squali toro. La sistemazione presso il Seascapes, bed and breakfast nonché sede del diving e casa di Walter, è degna delle aspettative: una villa su due piani, con un enorme giardino e terrazza con vista sull’Oceano Indiano. Il primo piano è completamente a disposizione degli ospiti che alloggiano in cinque comode camere doppie (due delle quali dotate di bagno privato). I pasti (spesso a base di carne e verdura cucinate alla griglia) e gli snack vengono serviti in terrazza, dalla quale si gode di una vista spettacolare. La serata trascorre ascoltando aneddoti di incontri con squali di tutti i tipi, che Walter snocciola con il suo Italiano pittoresco, ma efficace. La notte ci ritempra completamente ed è tempo di andare in acqua, dove il giorno successivo ci aspettano gli squali toro. Obbiettivo primario: collaudare una tecnica per la marcatura degli squali per loro non traumatica, ma potenzialmente rischiosa per chi la applica. Si tratta di avvicinare uno squalo attirandolo con del cibo e, quando è abbastanza vicino, di applicargli una targhetta identificativa alla prima pinna dorsale. Più facile a farsi che a dirsi. Il ritrovo dopo colazione è nel cortile interno della villa, dove si assembla l’attrezzatura, si indossa la muta e si sale sul pick up con il quale si è trasportati in spiaggia. Il punto di ormeggio del gommone, un bolide spinto da due motori da 150 CV, è la foce dell’Umkomaas River. Qui ci imbarchiamo e veniamo informati da Walter sulla procedura di “decollo”: seduti sui tubolari dobbiamo infilare i piedi all’interno di appositi strap assicurati alla carena del gommone, in modo tale da non venire sbalzati fuoribordo quando Walter lancerà il gommone verso il mare ad una velocità pazzesca, attraversando di prua le onde che si formano là dove le acque dell’Oceano Indiano e quelle del fiume si incontrano. Pronti? Via! Partiamo ancora più forte di quanto non mi aspettassi e l’adrenalina scorre a fiumi, mentre percorriamo derapando gli ultimi cento metri di fiume per poi puntare a tutta velocità verso le onde che tentano di impedirci l’accesso al mare. Tra salti, urla da rodeo, accelerate improvvise alternate a secondi di calma durante i quali Walter studia l’angolazione migliore per prendere l’onda successiva, ci troviamo in mare aperto. E’ oceano vero: arrabbiato, grigio (la giornata nuvolosa non aiuta) che sembra sfidarti a violarlo. Mentre considero che non ho mai visto un’acqua così poco invitante, vedo sfilare a non più di dieci metri dal gommone il dorso marrone di uno squalo martello smerlato e penso: “cominciamo bene, chissà cosa c’è qui sotto”. Arriviamo sul punto di immersione dove, venti metri più sotto, dovremmo trovare gli squali toro, i Raggies come vengono chiamati da queste parti. In acqua trasporto talmente tanta attrezzatura, tra cinepresa, luci e quant’altro, che probabilmente se non avessi la zavorra, andrei giù a piombo comunque. L’abbraccio dell’Oceano Indiano non è così freddo come pensavo e, soprattutto, la visibilità è molto buona. Quello che non ho considerato è la corrente, veramente forte, che mi costringe ad usare tutta la propulsione delle mie “Avanti quattro” facendomi rimpiangere di non essere un po’ più in forma. Scendiamo a -20 circa, in una sorta di anfiteatro naturale su un fondale sabbioso. Qui, stando accucciati sul fondo, la corrente si limita ad una forte risacca che risulta però molto fastidiosa, specialmente se si devono fare delle riprese. In una piccola caverna troviamo il primo raggie: una femmina di due metri che si muove, come tutti gli squali toro, con una lentezza disarmante e che non sembra per nulla infastidita dalla nostra presenza. I suoi occhietti minuscoli mi scrutano mentre cerco di inquadrarla nell’obbiettivo della videocamera e non posso fare a meno di notare la sua caratteristica espressione “cattiva” fatta di denti lunghi, aguzzi e portati fuori dalla bocca in un ghigno sinistro. I raggie, però, nonostante il loro aspetto, se non molestati, non sono aggressivi e lo so bene. Riccardo, il capo spedizione, è pronto a marcare il primo squalo che gli capiti a tiro, così prendo in consegna la sua Canon EOS scafandrata Nimar e cedo la cinepresa a Walter. I minuti scorrono veloci e assisto, attraverso l’obbiettivo della macchina fotografica, al carosello di squali toro che avvicinano cautamente la sardina che Riccardo stringe nella mano protetta da un guanto di acciaio, per poi far scattare fulmineamente le mascelle nel tentativo di agguantarla. E’ invece Riccardo ad agguantare la loro pinna dorsale nella quale conficca la punta di acciaio della pistola marcatrice per inserirvi il TAG. Dopo alcuni tentativi a vuoto, l’operazione ha successo e verifichiamo che il TAG è ben fissato e non dà l’impressione di infastidire lo squalo. E’ incredibile come il tempo scorra in fretta e dobbiamo già risalire. Lungo la cima guardiamo verso il basso: uno di noi, Riccardo, è ancora sul fondo e gli squali, non più disturbati da troppi intrusi, sono diventati cinque, forse sei, e lo circondano in attesa di qualche sardina. Riccardo ci raggiungerà pochi minuti dopo, giusto in tempo per filmare una manta, venuta planando da chissà dove per salutarci. Torneremo nello stesso punto di immersione altre due volte, trovando ad aspettarci gli stessi squali, spesso accompagnati da cernie dalle dimensioni incredibili. L’ultimo giorno piove ed il mare è agitato, ma riesce comunque a regalarmi un’ultima emozione. Me ne sto in piedi sulla terrazza del Seascape, scrutando attraverso il binocolo di Walter l’oceano che si staglia oltre la linea del reef, quando la sagoma enorme di una balena balza improvvisamente fuori dall’acqua per poi ricadervi, scomparendo tra milioni di spruzzi. Non credo ai miei occhi, ma questo è il Sudafrica, dove ogni incontro è possibile.
Scritto da: Fabrizio

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